I leoni sono da sempre il simbolo di ingresso al centro di Corciano, come due integerrimi guardiani che proteggono le mura e la storia del piccolo borgo. Le prime notizie sulle due sculture sono contenute nel Codice Vaticano Latino 4834 all’interno de “Il Conto di Corciano e di Perugia” ovvero la leggenda di fondazione del borgo di Corciano ad opera di Coragino, compagno di Ulisse e su di essi è narrata un’antica leggenda, che spiegherebbe il motivo per cui una delle due figure presenta la testa scalfita.
I due manufatti in travertino risalgono probabilmente all’età classica. Benché la tradizione popolare li consideri un trofeo di guerra riportato dai Corcianesi nel 1310 dopo la vittoria contro Todi, essi potrebbero essere un prodotto locale, presente a Corciano già prima del XIV secolo. A dare forza a questa ipotesi sta il fatto che già in tale periodo esse venivano considerate due sculture “leggendarie”, conosciute da tempo non precisabile, ma anche dalla corrispondenza dei caratteri petrografici del travertino delle due opere con quello dei depositi di Strozzacapponi.
Dalle origini di Corciano fino al 2008, i leoni sono stati alla guardia dell’ingresso del borgo. Ragioni di tutela e conservazione hanno reso necessario, a fine 2008, il loro trasferimento all’interno del Museo Antiquarium e il vuoto da loro lasciato nel paese è stato molto sentito da Corcianesi e turisti, al punto che, nel 2024, il Comune ha realizzato delle copie a grandezza naturale degli originali che sono state ricollocate nella storica ubicazione.
Provenienza: sconosciuta.
Datazione: Documentati a Corciano a partire almeno dal XIV secolo.
Collocazione attuale: Corciano, Antiquarium comunale.
Materiale: travertino
| Leone A | Leone B |
Leone A: Mancante della parte inferiore delle quattro zampe e parte del muso; fianco sinistro caratterizzato dalla presenza di numerosi vacui.
Lung. cm 190; alt. max. cm 76, alt. min. cm 50, larg. max cm 60;
Leone B: Lacunoso, con superficie assai consunta, mancante della testa e della parte inferiore delle quattro zampe.
Lung. cm 140; alt. max cm 65; alt. min. cm 57; larg. max cm 45.
La prima notizia relativa alle due sculture è tramandata nell'appendice terza alla Leggenda di Corciano, contenuta nel Codice Vaticano Latino 4834, databile alla seconda metà del XIV secolo.
Si narra di un ragazzo che, terrorizzato dai due leoni, ogni notte sognava di essere sbranato da uno di essi. Per rassicurarlo, il padre lo condusse accanto alle sculture e lo invitò a mettere la mano dentro la bocca di una di esse …che alquanto era cupa e ‘ntagliata chon dente de pietra al modo usato... Ma un grosso scorpione, che vi era annidato, punse il fanciullo che ...per tale maniera... morio... Il padre, disperato guastò quillo lione e tutta la testa e i pieie glie ruppe cholglie malipiche.
Benché la tradizione popolare consideri i leoni un trofeo di guerra riportato dai corcianesi da Monte Molino nel 1310, dopo la vittoria contro Todi, le due sculture potrebbero essere un prodotto locale, presente a Corciano già prima del XIV secolo. A dare forza a questa ipotesi sta il fatto che già nel XIV secolo vengono considerate dall'immaginario collettivo come due sculture "leggendarie", conosciute da tempo non precisabile; ma soprattutto perché i risultati di indagini condotte, alla fine degli anni ‘90, sul materiale con cui sono state realizzate, il travertino, ne hanno evidenziato gli stessi caratteri chimici e petrografici del travertino di Strozzacapponi-Santa Sabina (PG).
Le sculture sono rimaste posizionate, in maniera affrontata, ai piedi della scalinata che da via Ballarini conduce a piazza dei Caduti, almeno a partire dal secondo dopoguerra fino alla fine del 2008, quando su indicazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, sono state collocate, per motivi di tutela e conservazione, all’interno dell’Antiquarium comunale.
Le dimensioni originarie, simili al vero, sono meglio ravvisabili nell'esemplare A, che presenta uno stato di conservazione di gran lunga migliore dell'altro.
I due leoni sono ritratti in piedi, stanti, secondo la tipologia rappresentativa maggiormente diffusa in ambito iconografico d'età classica.
Sul leone B, infatti, le zampe posteriori, in gran parte mancanti, sembrerebbero realizzate in posizione eretta e non flesse.
Nell'esemplare A, invece, si nota che la zampa anteriore sinistra, in origine, era poggiata a terra, mentre la destra era sollevata. Il muso, leggermente chinato verso il basso, è rivolto verso sinistra; si presenta parzialmente consunto, con guance molto pronunciate, fronte aggrottata e fauci aperte, secondo la tipologia del leone ruggente. La testa è incorniciata da una criniera composta da quattro fasce parallele di boccoli circolari, ognuno dei quali costituito da cinque riccioli concentrici; questi si interrompono nella parte inferiore del muso dove lasciano spazio a ciocche a fiamma disposte a raggiera. Ben chiari sono i segni della presenza di una criniera dorsale sviluppata per lo meno fino a metà schiena.
| Leone A - Particolare della criniera | Leone A - Particolare del muso |
In entrambi gli esemplari assai curata è la resa della muscolatura delle zampe e i particolari anatomici del costato, sia sul ventre che lungo i fianchi.
Sul fianco sinistro e sul dorso dell'esemplare A la superficie è caratterizzata da numerosi pori. Su questo lato l'indicazione dei particolari anatomici sembra realizzata con minor cura; la criniera è completamente consunta o non espressa; più sommaria è anche l'indicazione della muscolatura.
Tali caratteristiche, da addebitare in parte alla notevole usura del materiale, potrebbero essere anche imputate all’originaria collocazione delle sculture, associate ad un'architettura rispetto alla quale esse assunsero certamente un ruolo secondario, che permetteva la vista completa di un solo fianco.
Entrambi i leoni mostrano tracce della coda, meglio visibili sull'esemplare B. Dal dorso dell'animale, essa si sviluppa in mezzo alle zampe posteriori, per risalire il fianco sinistro, appoggiandosi alla coscia con la parte terminale aperta a forma di ciuffo.
In epoca antica, sculture raffiguranti leoni, emblema del finale destino dell'uomo, erano associate a monumenti funerari di famiglie gentilizie.
Il motivo del leone, per lo più stante, che preme sotto la zampa anteriore la testa mozzata di un animale sacrificale, è attestato per la prima volta in un esemplare punico del VI secolo a.C. proveniente da Alesa; alcuni esemplari attici ne attestano invece la diffusione in ambiente greco a partire dal IV secolo a C. (MARINI CALVANI 1980, p. 7).
Lo schema figurativo è presente, nella seconda metà del IV secolo a.C., anche nelle regioni dell'Etruria meridionale, dove prevale l'impostazione di una forte inarcatura del dorso e un abbassamento della parte anteriore del corpo, assai diversa da quella dei due esemplari corcianesi.
Inequivocabile è, invece, l'aspetto dei leoni funerari romani caratterizzati da una esasperata accentuazione del capo e da un forte naturalismo, assenti del tutto nelle forme più concettuali dei modelli etruschi.
L’iconografia è diffusa in molte regioni dell'area centroitalica, campana e padana, a partire dal II secolo a.C.; il modello ebbe particolare successo in area umbra (Terni, Narni, Amelia), sabina (Monteleone Sabino) e abruzzese (Amiternum) con linguaggi variabili da centro a centro.
Lo schema della protome è riconducibile a due tipologie distinte: la prima, caratterizzata da una forma piuttosto rotonda, criniera a ciocche disposte a raggiera, fronte rivolta verso il basso e fauci aperte, ritorna in un esemplare di Sassa (L’Aquila), in due provenienti da Parma ed in uno da Perugia (ROSI BONCI 1992, p. 25); la seconda, con profilo più appuntito e criniera distinta in due masse contrapposte che tendono ad allargarsi verso il basso e a terminare, in alto, in un ciuffo, è presente in un esemplare da Cesi, in uno di Poggio Moiano (Rieti) ed in un altro di Tivoli.
Gli esemplari corcianesi sembrano, così, rientrare nell'ambito della prima tipologia, nonostante l'anomala resa della criniera, che obbedisce più a criteri decorativi che naturalistici, recuperati, insieme ad una impostazione dinamica delle figure, nell'espressione curata della muscolatura del corpo, nella torsione del muso e nell'indicazione delle fauci spalancate.
Per quanto difficile, in considerazione dello stato di conservazione delle due sculture, possa essere l’inquadramento cronologico delle stesse, si potrebbe ipotizzare una datazione all’età imperiale e che fossero associate ad un’architettura funeraria.
Bibl.
AA. VV. Corciano, Arte, Storia, Fede di un antico castello, Perugia 1998, pp 17 sg.
R. COLLESI, Memorie storiche e amministrative del Comune di Corciano, Perugia 1902, pp. 170 sg; pp. 195 sg n. 1
M. MARNI CALVANI, Leoni funerari romani in Italia, in BollArte, 1980, pp 7sgg.
L. ROSI BONCI, Ponte Felcino, Pretola, Ponte Valleceppi nell’antichità. L’organizzazione del territorio nell’area sud-est di Perugia, in AA.VV Ponte Felcino, Ponte Valleceppi, Pretola da borghi rurali a realtà urbane, Perugia 1992